Intervista padre Mauro Armanino
- Cosa l’ha spinta a diventare missionario?
E’ la missione che mi ha pedinato…mi è parso che, strada facendo, fosse quella l’opzione della vita, dopo la prima esperienza di volontariato internazionale in Costa d’Avorio dal ’76 al ’78. Nella mia vita le scelte non si sono contraddette ma confermate… metalmeccanico, sindacalista, cristiano impegnato, scelta dei poveri e giustizia sono state tematiche che mi hanno accompagnato senza contraddirsi, ma approfondendosi. Ogni volta un po’ più in là, passando frontiere, che poi è il cammino di ogni vita.
- Perché ha scelto il Niger?
E’stato l’allora vescovo di Niamey, missionario della stessa congregazione che, saputo del mio impegno coi migranti e rifugiati a Genova, mi ha invitato nella sua diocesi di Niamey. Il Niger come terra di passaggio, transito e anche dramma per molti mi ha sedotto. In più un Paese povero…era importante rispondere ‘presente’, senza troppo attendere o calcolare.
- Il Niger è un luogo dove avvengono molti rapimenti, non ha paura?
Ciò avviene in tutto il Sahel e dunque anche nel Niger. C’è a volte timore ma è anche bene non farsi guidare dalla paura. Avevo vissuto l’esperienza della guerra in Liberia e questo mi ha ‘aiutato’ a relativizzare. Si cerca comunque di rispettare le norme elementari di prudenza.
- L’odio verso i migranti ci fa balzare all’indietro. Da anni ormai lo slogan “aiutiamoli a casa loro” è divenuto un mantra per i politici. Lei che vive le storie di immigrati quotidianamente a casa loro, la formula pocanzi citata può funzionare? Se si come?
Avremmo dovuto dire lo stesso quando ‘gli albanesi eravamo noi’, qualcosa come 28 milioni di connazionazionali che hanno lasciato il Paese avventurandosi altrove. Il tema è che, come ricorda l‘amico Turi Palidda, le migrazioni fanno parte della storia umana e sono solo in parte legati all’aspetto meramente economico. Molti altri fattori intervengono nella scelta migratoria. In più non li stiamo aiutanto a ‘casa loro’, semmai spogliando a ‘casa loro’. Dalla pesca sulle coste del Golfo di Guinea, agli accordi commerciali che strozzano l’agricoltura famigliare, alla rapina delle risorse…e all’acquisto delle terre…non stiamo aiutando ma sfruttando. C’è un sistema economico, politico da trasformare.Stili di vita incompatibili con la civiltà a venire.
- Dice che ogni immigrato è un’emigrazione. Perché? Chi è l’immigrato?
Proprio per quanto sottolineavo che l’angolo economico non è l’unico e forse neppure il principale. La scelta di migrare è frutto di razionalità e irrazionaità, di immaginari e di costrizioni, di desiderio di emancipazione a voglia di rischiare un futuro differente. Nella migrazione c’è una parte del mistero dell’umano che si rivela: è una delle funzioni ‘specchio’ del fenomeno. Il migrante può essere un sovversivo rispetto al disordine dominante, un disperato che rischia, un investimento per la famiglia, un avventuriero, un artista, un funambolo, una creatura di sabbia…
- C’è una storia di un immigrato che l’ha colpita particolarmente?
Molte delle storie salvate dalla sabbia le ho scritte e pubblicate.Un paio, tra le altre erano particolarmente eloquenti. Quella di un giovane che ha tentato più volte di passare il mare e mai ha potuto farlo. Ha visto morire amici e compagni. Ha sentito l‘obbligo di tornare al paese con la foto del sacco bianco numerato nel quale avevano custodito il corpo dell’amico. Tornava solo per informare la famiglia e poi sarebbe ripartito ancora. O ancora un migrante che dopo anni di migrazione e di lavoro, è stato derubato di tutto quanto possedeva…è tornato con un sacco di plastica e un paio di vestitini per il figlio. Ringraziava Dio per la vita e diceva che avrbbe ricominciato a fare il venditore di strada.
- C’è un’Africa che i media main stream non raccontano e che invece dovrebbe essere oggetto di notizia?
Quella feriale, degli invisibili, gente di sabbia che resiste, vive, coltiva, inventa come sopravvivere, che crede nella vita, fa figli senza sapere come e sa che c’è un Dio da qualche parte che fa quello che può perchè anche quest’anno la pioggia arrivi in tempo. Quest’Africa sfugge alle statistiche, ai progetti di sviluppo e ai fotografi perchè non si ha tempo di raccontarla. E’ nascosta agli occhi che non sanno scavare come minatori.
- Il dialogo interreligioso è possibile? Come è vissuto in Niger?
Il dialogo è una realtà sacra e ineludibile. Si complica laddove sembra un ‘lusso’ o una scelta facoltativa. E’ vissuto nella vita di ogni giorno tra vicini e poi anche ad altro livello, per ‘specialisti’. C’è poca educazione al dialogo e spesso è visto come una debolezza per chi ha bisogno di spazi democratici vitali. Nel Paese alcuni fatti hanno messo in difficoltà la fiducia reciproca che è alla base del dialogo. Le chiese bruciate nel 2015 a Zinder e Niamey, il rapimento di Pierluigi Maccalli nel 2018 e l’attacco nella parrocchia di Dolbel, nei pressi del Burkina Faso qualche settimana fa hanno ferito il dialogo. I cristiani, minoranza nel Sahel, hanno timore che possa arivare il peggio come altrove. Nondimeno il dialogo rimane l’unica strada percorribile, tortuosa ma possibile. Una conversione quotidiana alla verità, senza irenismo.
- In un intervista ha affermato che ringraziare l’autista per il servizio reso dovrebbe essere la normalità, mentre in Italia si dà per scontato che il servizio è dovuto al passeggero che paga il biglietto. La dignità dell’essere umano e l’umanità che percepisce in Niger è quella che averte in Italia? In cosa differisce? Di quanta umanità abbiamo bisogno?
Una delle lezioni ricevute dal SUD è il saluto gratuito quando si incontra qualcuno, anche sconosciuto. E il primo passo del riconoscimento dell’altro/a come simile in umanità. Il SUD è più povero economicamente e più ricco umanamente, come anche nell’Italia di un tempo. La povertà ricchezza di popoli, si diceva. La convivialità implica le mani vuote, libere, per dare e soprattutto ricevere. Siamo pieni di cose e incapaci di ricevere il dono dell’altro. Le nostre mani sono ormai a forma di carrello delle spese…
- Se dovesse associare l’emigrazione con una canzone quale sceglierebbe e perché?
Redemption Song di Bob Marley, perchè la migrazione è un canto di liberazione per tutti.